Riflessioni della Presidente COEMM INT’L Maura Luperto
Nel medioevo chi veniva accusato d’orgoglio intellettuale veniva severamente punito fino addirittura essere bruciato sul rogo, e nell’antica Grecia l’atteggiamento con cui l’uomo superbo cercava di liberarsi dalle imposizioni degli dei veniva chiamato Urbis. Era il bisogno dell’uomo di voler seguire le proprie intuizioni e nei tempi passati cambiò il mondo.
Oggi però, le conoscenze sono sempre più vaste e le passioni intellettuali si esplicano soprattutto su internet, sui social dove spesso si assiste ad una volontà puntigliosa e permalosa di esprimere il proprio pensiero a prescindere dall’avere ragione, è l’orgoglio: il bisogno di avere sempre l’ultima parola, un atteggiamento di cui molti vanno fieri come se fosse una dimostrazione di valore. Però questo orgoglio non è più come in passato, sano istinto di libertà.
Oggi siamo più preoccupati di far valere il nostro punto di vista piuttosto che dialogare, e se capiamo che l’altro ha ragione ci ostiniamo a difendere le nostre posizioni a volte anche indifendibili, manifestano un’aggressività mascherata. Esistono solo le nostre idee e quando non ne abbiamo, aspettiamo che qualcuno le esprima per poi affermare l’opposto per vedere se la nostra idea è quella giusta.
Dove c’è orgoglio non c’è libertà, e chi vuole avere sempre l’ultima parola, libero non è. Perché gli altri quando hanno constatato il nostro limite, si ritirano e tornano liberi di potersi esprimere al meglio con altri. Mentre noi restiamo lì, con la nostra inutile affermazione di forza. Risultando anche antipatici.
Abbandonare l’orgoglio intellettuale significa liberare il proprio pensiero prima ancora della qualità delle relazioni. Se si rinuncia ad avere l’ultima parola non ci si deve sentire sconfitti o inferiori, se si esce dall’idea del confronto come una lotta allora si giunge alla bellezza del vero scambio, del dialogo costruttivo. Si può essere liberi di dire ciò che si pensa davvero e si può cambiare idea (cosa rara, pensiamo a quelle aziende che fanno i corsi ai propri dipendenti su come “piegare “ il prossimo ai propri voleri),
si può vedere come ci possono essere altre idee giuste, altri punti di vista che possono coesistere, integrarsi anche se opposti.
Proviamo a non imporre l’ultima parola, ascoltiamo, associamo, proponiamo. L’integrazione dei pensieri rappresenta il livello più elevato di conoscenza e di libertà.
Maura Luperto 19 agosto 2018